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Gli amici di The Raid presentano: Headshot, la recensione

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Iko Uwais è il Cenerentolo indonesiano del cinema di menare. Un ragazzo come tanti, nato e cresciuto a Giacarta senza particolari aspirazioni o prospettive, che pratica le arti marziali nel tempo libero, a un livello più che eccellente, ma senza farne un vero mestiere. Quando viene scoperto da Gareth Evans, di lavoro fa l’autista per una compagnia telefonica. “Tu e io faremo grandi cose insieme” gli dice Gareth Evans, e in effetti fanno grandi cose insieme. Merantau è il film che lo ha fatto notare, The Raid quello con cui ha fatto il botto.
Oggi, pur con una filmografia relativamente esigua alle spalle, Iko Uwais è una delle star action più hot del momento in oriente: gli appassionati del genere lo adorano, Hollywood gli fa la corte senza sapere esattamente il perché (vedasi il cameo senza senso in Star Wars VII) e lui ha abbastanza street cred da poter fondare, prendendo esempio da Jackie Chan, una squadra di stuntmen col suo nome, il Uwais Team.

“Col cazzo che torno a guidare i furgoni, manco morto”

I malesiani Mo Brothers sono le classiche giovani promesse del cinema di genere, un duo di registi indipendenti ancora sospesi in quel limbo che sta fra il fare il colpaccio e lo sputtanarsi completamente.
A un certo punto della loro carriera ancora sconclusionata e in divenire, anche Timo Tjahjanto e Kimo Stamboel (da cui il nome di battaglia Mo Brothers) hanno trovato un mentore in Gareth Evans, che li ha incoraggiati, spronati, supportati, consolati quando i loro progetti andavano in fumo (The night comes for us, un thriller prodotto da Evans e con praticamente mezzo cast di The Raid 1 e 2, che era in lavorazione nel 2014 e poi non se n’è più fatto niente) e coinvolti quando gli capitava una figata tra le mani (il “corto” di V/H/S/2).

Lo dico sempre io: Mo brothers, mo problems

Era solo questione di tempo prima che Evans organizzasse la più classica delle cene per farli conoscere e i destini di Iko e dei Mo Bro si incontrassero. Me li immagino tutti eccitati, euforici per il magnifico sodalizio appena nato, che improvvisano una coreografia sul tavolo della cucina usando la saliera, la pepiera il portastuzzicadenti a mo’ di omini, mentre Gareth li guarda da lontano, sorride e va a letto soddisfatto, sapendo che il suo lavoro ormai è fatto.

Un paio di mesi dopo esce Headshot e il mondo è un posto — non dico tanto, ma — leggermente migliore.

Sulla trama è meglio non soffermarsi o finiremmo per fare un disservizio a Timo Tjahjanto, la cui unica colpa, ne sono certo, è quella di aver perso una scommessa e ritrovarsi quindi attribuita la paternità di un soggetto chiaramente trovato in un pacchetto di patatine scadute nel ‘96. Basti sapere che Iko interpreta il tipico esperto di arti marziali col fisico scolpito e lo sguardo da cucciolo che trovi mezzo morto una mattina sulla spiaggia e non ricorda niente del suo passato. Il passato, mannaggia a lui, non tarderà a bussare alla porta sua e della bella dottoressa che lo ha curato e si è innamorata di lui per nessun motivo apparente a parte che lei è una femmina e lui un maschio e insomma, saranno cazzi violentissimi per tutti abbastanza subito.

Una struttura pericolante nella quale stipare una serie potenzialmente infinita di combattimenti che vedranno Iko, come nel più classico dei videogioconi a scorrimento, farsi strada tra un esercito di sgherri minori senza volto e un pugno di boss intermedi — ognuno col suo look, il suo stile di combattimento e addirittura un nome! — per poter infine aprire il culo al boss finale, un mega cattivo così cattivo che, guardate, non ve lo sto neanche a dire, è cattivo.

Per amore della completezza preciseremo che i bossi intermedi, probabilmente i personaggi più azzeccati della pellicola, includono:

  • uno smilzo che combatte col machete
  • due skinhead che combattono coi fucili
  • un hipster con lo sfollagente (il mio prefe ♥)
  • una strafiga coi coltelli e le pistole
    (questi ultimi due interpretati rispettivamente da Very Tri Yulisman e Julie Estelle, che in The Raid 2 erano il ragazzo con la mazza da baseball e la ragazza coi martelli)

e degli scontri che li vedono protagonisti, non c’è uno che una volta finito non mi sia rivisto immediatamente.

Cugini!

Il timore che i Mo Brothers, avvezzi all’horror splatterone ma alla prima esperienza con un film d’azione, potessero fare un passo falso è presto fugato: di loro portano le secchiate di sangue e una generale, giocosa, voglia di spaccare tutto a livello di ossa e di messinscena, ma gli stunt sono stati concepiti e coreografati al 99% dal Uwais Team.

I veri eroi

Nella migliore delle situazioni win-win possibili, Iko e i suoi regaz danno libero sfogo alla propria fantasia di picchiatori circensi (resi consapevoli dall’esperienza di The Raid che le leggi della fisica sono per lo più delle linee guida) e i Mo Brothers si divertono come dei matti a girargli attorno con la macchina da presa, sfidandosi a trovare l’inquadratura più assurda (con una singolare, e non del tutto chiara, predilezione per quelle dall’alto), il movimento di macchina più inutilmente acrobatico, la soluzione più violenta.

Mo Brothers’ best inquadrature dall’alto compilation

E sulla questione della violenza, miei cari amici che affrontate il cinema come se voi foste John Wick e il PG13 il figlio di puttana che ha ucciso il vostro cane, avrete pane per i vostri denti: la Hollywood delle mille regole e altrettanti divieti è lontana anni luce, questa è ancora l’Indonesia delle fratture esposte e delle fontane di sangue, delle gole tagliate e dei crani sfondati, della gente impalata, sgozzata, crivellata di colpi e suonata come tamburi. Tutto si può dire di Headshot, tranne che affronti il genere action in punta di piedi.

Certo il paragone con The Raid viene automatico, quando hai quasi lo stesso cast diretto prima da un regista e poi dai suoi “protetti”, e qui casca il proverbiale asino perché la differenza è piuttosto netta. Anche se è chiaro che ama le arti marziali più dei suoi figli, Evans dirige con rigore e distacco, la sua è la mano ferma dell’autore che ha ogni cosa sotto controllo, e con lui la povertà di mezzi e la semplicità della scrittura non sono ostacoli ma elementi che riesce a far giocare a suo favore. Al confronto i Mo Borthers sembrano due ragazzini strafatti di zucchero, armati di buone intenzioni ma grezzi e con un disturbo dell’attenzione, che si concentrano (anche con successo, per carità) su uno o due aspetti ma ancora faticano a vedere il quadro completo e in due o tre occasioni ne pagano lo scotto.
Headshot non è, evidentemente, The Raid, ma è esattamente il tipo di cinema che speravamo di veder fiorire e invadere le sale dopo aver visto The Raid. Non è The Raid, ma è un inizio coi fiocchi.

DVD-quote:

“Gli eredi di The Raid crescono bene”
Quantum Tarantino, i400calci.com

>> IMDb | Trailer

E comunque la produzione di The night comes for us è ripartita proprio in questi giorni, con ancora più cast proveniente The Raid rispetto a prima; secondo IMDb le riprese sono in corso in questo momento, per cui non è improbabile aspettarsi di riuscire a vederlo per la fine dell’anno. Daje!


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